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«L'esperienza del campo di concentramento unita al mio lavoro con gli individui psicotici ha motivato il mio impegno nei confronti di due problemi fondamentali e strettamente legati tra loro: che cosa fare in concreto, a livello sociale e a livello individuale, più limitato ma più urgente, per prevenire l'anomia e l'alienazione, così distruttive per l'autonomia e la sicurezza individuali; e come prevenire la disintegrazione della personalità, l'isolamento e la mancanza di rispetto per sé e per gli altri. I saggi contenuti nel presente libro affrontano questi problemi, insieme al problema di cosa si possa fare, sul piano sociale e al livello delle esperienze individuali di vita (soprattutto attraverso l'educazione e la scuola), per favorire l'acquisizione dell'autonomia, del rispetto di sé, dell'integrazione e della capacità di formare rapporti significativi e durevoli; in breve, per aiutare gli esseri umani a divenire, come dice Paul Celan, "padroni e signori dei lor volti". [...] Ho tracciato un parallelo tra la disintegrazione della personalità provocata dall'essere stati travolti da quel terribile uragano della storia che fu il cosiddetto olocausto nazista, e quella che deriva da eccezionali, orribili esperienze private che conducono al crollo psicotico dell'integrazione o ne impediscono addirittura l'instaurarsi. Implicitamente ho stabilito un parallelo anche tra i requisiti necessari per riprendersi da traumi così estremi, vale a dire per il recupero dell'autonomia, del rispetto di sé e dell'integrazione personale. Non sono stato l'unico a trovare analogie tra l'esperienza dei campi di concentramento e la distruzione operata nel bambino dalle sue prime esperienze di vita. Si direbbe che esse si impongano naturalmente all'attenzione, se uno riflette sulle vittime dell'olocausto e prova per loro profonda e sincera pietà. Ne è una prova un'altra poesia di Paul Celan, Todesfuge (Fuga della morte). Furono questi versi a imporlo immediatamente come il più importante poeta tedesco, e forse europeo, della sua generazione. Per comunicare la disperazione assoluta che regnava nei campi della morte, egli evoca l'immagine di una madre che distrugge il figlio neonato. "Negro latte dell'alba noi lo beviamo la sera / noi lo beviamo al meriggio come al mattino lo beviamo la notte / noi beviamo e beviamo [...] Negro latte dell'alba noi ti beviamo la notte / noi ti beviamo al meriggio la morte è un Mastro di Germania". Quando il latte che siamo costretti a bere dall'alba al tramonto è latte nero, non importa se nei campi della morte della Germania nazista o in una culla adorna di trine, ma anche qui esposti agli inconsci desideri di morte di una madre in apparenza scrupolosa - in entrambi i casi l'anima ha per padrone la morte».